La crescita italiana ha bisogno di più “green” e meno burocrazia di Gregorio de Felice
La crescita italiana ha bisogno di più “green” e meno burocrazia
di Gregorio de Felice
Sul breve termine un incremento vicino al 4% sarà più o meno garantito dalla mole di risorse che il Pnrr metterà in gioco grazie ai fondi di Next Generation Eu. Ma se non sapremo aumentare la produttività c’è il rischio di tornare ad un tasso di sviluppo insufficiente
Siamo a una svolta per quanto riguarda la possibilità di una forte ripresa a livello mondiale. Sono state messe in atto misure di politica fiscale importanti in questo senso. Negli Stati Uniti si è speso il 25% del prodotto interno lordo per sostenere la crescita e per garantire continuità aziendale alle imprese sottoposte a lockdown. In Europa si è puntato a cogliere l’occasione della pandemia per rafforzare la resilienza degli Stati, permettere ai sistemi produttivi di diventare più forti e avanzare verso un’economia basata su sostenibilità ambientale e digitalizzazione.
Le nostre previsioni indicano un tasso di crescita a livello globale del 5,9%, che recupera la contrazione del 2019. Non dobbiamo aspettarci semplicemente un’accelerazione della crescita per uno o due anni. Vanno messe in pista azioni di politica economica che permettano progetti di investimento sia per la transizione digitale sia per quella ambientale, importantissima per le nostre industrie e per avere in futuro una crescita che sarà più alta auspicabilmente di quella che abbiamo avuto nell’ultimo decennio.
Per il 2021 e il 2022 una crescita vicina al 4% sarà più o meno garantita dalla mole di risorse che il Pnrr metterà in gioco grazie ai fondi di Next Generation Eu. Ma la vera scommessa è cosa succederà dal 2025, quando i progetti saranno stati realizzati. Se non avremo fatto riforme in grado di aumentare la produttività del nostro sistema economico – più che al manifatturiero, penso al mondo delle costruzioni, alla pubblica amministrazione, a tanti aspetti del terziario – c’è il rischio di tornare ad un tasso di crescita insufficiente per un Paese come il nostro, che ha elevata disoccupazione, con possibili tensioni sociali e debito pubblico molto alto.
La nostra crescita media è stata dello 0,6% l’anno. Se noi torniamo lì, vorrà dire che non abbiamo sfruttato al meglio le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’impatto del Pnrr stimato dal governo sul prodotto interno lordo sarà del 3,6% a regime; le riforme dovrebbero incidere per il 3,3%. L’incidenza maggiore è legata alla pubblica amministrazione: se non la riformiamo sarà impossibile avere progetti in campo infrastrutturale, nell’ambito di tutte le iniziative incluse nel Pnrr.
Guardiamo agli investimenti. Dal 2008 ad oggi l’Italia ha perso il 16% in termini di flussi annui. Nello stesso periodo, la Germania ha fatto +20%, la differenza è del 36%. Se per ipotesi noi avessimo avuto la stessa crescita di investimenti tedesca avremmo avuto 128 miliardi di euro di risorse stanziate in più. Stiamo parlando del 7-8% del Pil italiano. Dove il gap è maggiore? Nel settore delle costruzioni, soprattutto nell’edilizia pubblica. Come investiranno le imprese? Le nostre indagini dicono che la voce maggiore è il digitale, seguito da sostenibilità ambientale e Ricerca&Sviluppo. Ma con enormi differenze per classi dimensionali: il mondo delle piccole medie imprese va convinto, spinto ad agire in queste direzioni.
Le motivazioni non mancano: va sottolineato, per esempio, che le aziende più impegnate dal punto di vista della sostenibilità hanno anche raggiunto obiettivi di crescita della produttività più alta. E poiché il mondo della finanza, sia risparmio gestito che credito bancario, è ormai orientato a favore di iniziative che curino l’ambiente e che siano Esg compliant, l’impegno green costituirà sempre più un fattore decisivo per l’accesso alle risorse economiche.
In un’ottica di medio termine si arriverà a dare credito o a trovare investitori soltanto per quelle aziende che rispondono a criteri di Esg. E di questo dobbiamo tenere ben presente pensando al futuro del nostro sistema economico.
Per un’industria dei beni di consumo, per esempio, questo significa pensare da subito a che fine farà il prodotto che sta studiando quando avrà terminato il proprio ciclo di vita.
È importante ragionare da oggi in termini di economia circolare. Quando cominciò la produzione su vasta scala del biologico, molti furono scettici, ma nel tempo hanno dovuto prendere atto del crescente interesse del consumatore… Dal mio punto di vista quella dell’ambiente è una rivoluzione verde che si presenta dopo quelle del vapore, dell’elettricità, del computer, di internet… Il mondo sta cambiando molto velocemente. Il fatto che gli americani, con Joe Biden, abbiano messo un trilione di dollari a favore dell’ambiente o che la Cina abbia nuovi obiettivi di neutralità per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica ci dice che la domanda di prodotti e di processi produttivi green sarà fortissima.
E le imprese italiane devono essere messe nelle condizioni di competere al meglio con la concorrenza estera sui mercati internazionali. Farlo significa soprattutto semplificare. Quello che lamentano le industrie non è solo l’elevato livello di tassazione cui sono sottoposte, ma il fatto che per avere un’autorizzazione in Italia servono tempi dieci volte superiori rispetto ad altre nazioni. Dobbiamo avvicinare la pubblica amministrazione alle imprese. L’esperienza del Ponte Morandi, costruito a tempo di record, deve diventare la norma.